martedì 23 ottobre 2012

Déshabillez- vous // Spogliatevi




Déshabillez-vous,

spogliatevi,
dei falsi limiti,
quelli che siete solo voi
unicamente voi
ad imporvi

Spogliatevi,
dei sorrisi di circostanza,
che non vi illuminano 
affatto,
ma vi stropicciano solo il viso

Spogliatevi,
dei giudizi frettolosi
della gente,
dell'aria da vissuti
appena a vent'anni

Spogliatevi,
della paura di fallire
in questo mondo imprevedibile
e combattete con speranza


Déshabilléz-vous,


solo per passione.




venerdì 19 ottobre 2012

Lasciare è un verbo ambiguo



Non ci avevo mai fatto caso finché stamattina non ho cercato sul dizionario di francese la voce 'lasciare'.
Se lasci il paese, la casa, il marito, devi usare il verbo 'quitter'.
Ma se lasci l'ombrello a casa, la casa in eredità e quindi sicuramente lascerai il segno per qualcuno, allora il verbo da usare è 'laisser'.
Bé, vi chiederete, cosa c'è che non va?
La cosa che mi è saltata immediatamente all'occhio è che lasciare ha due significati completamente opposti:
può indicare infatti un' Assenza, ma paradossalmente anche una Presenza.

In italiano si usa sempre lo stesso verbo e forse per questo non avevo mai notato questa sottigliezza: pensiamo sempre a lasciare come a un verbo triste, nostalgico, un verbo che fa male insomma, ma in realtà non è sempre così.
Mi accorgo sempre più che solo conoscendo bene un'altra lingua puoi capire e apprezzare profondamente la tua, anche le più piccole sottigliezze.
E mi rendo sempre più conto che è così per tutto.

Certe frasi a volte sono talmente tanto usate che finiscono col perdere completamente di significato e l'uso inflazionato le svuota. Ma poi basta una stupidaggine e capisci che quegli slogan delle elementari, come 'la diversità per costruire l'identità',  il multiculturalismo, l'integrazione... hanno proprio ragione..
Il problema è che, almeno per me, le frasi fatte non mi hanno mai fatto riflettere.
Ma quitter e lasser si. Se solo chi osserva da estraneo la tua cultura,  può farti scoprire cose nuove, ti accorgi che allora anche per conoscere bene te stesso devi avere a che fare con gli altri, con le loro reazioni ai tuoi comportamenti, con le loro parole, con la loro assenza, ma soprattutto con la loro presenza.
Socrate è il filosofo del "Conosci te stesso" e di fatti cosa faceva? Stava tutto il giorno a spasso a chiacchierare...

domenica 14 ottobre 2012

"Per vedere cosa c'è sotto il proprio naso occorre un grande sforzo"




Mi piace sbirciare nelle case altrui, spiarne gli interni e gli abitanti tra le tende lasciate distrattamente un po' scostate. Luci calde dorate, luci al neon, librerie antiche, un sofà sdrucito. Immaginare le vite degli inquilini e le stanze non visibili può essere un buon esercizio di fantasia.
Per questo non tollero il Grande Fratello: lì TUTTO è predisposto alla visione; non si 'spia' davvero, se tutti sanno di essere in vetrina. Cosa sbirciamo se tutti sanno che ci siamo dietro i mille occhi delle cam?
No. La magia scatta quando osservi di nascosto. Quando per caso entra nell'orizzonte del tuo sguardo un inconsapevole qualcuno. E' realtà in presa diretta, questa. Non ci sono filtri, pose, copioni. E'  la verità.
E comunque sbagliavo a dire che mi piace 'spiare',  piuttosto, mi piace 'osservare', perché io
le tende
non le ho.







venerdì 12 ottobre 2012

La fortuna d'essere scartati





Parigi, 1863:  Édouard Manet fa scandalo esponendo il dipinto "Le Déjeuner sur l'herbe". 

Fa scandalo perché veste i soggetti dipinti con i vestiti dell'epoca, della sua epoca, inserendoli però in una cornice 'convenzionale', un classico paesaggio bucolico.
Secondo me fu un po' come vedere la Gioconda  così, con tuta e capelloni.



La tela fa scandalo perché non rispetta affatto le regole pittoriche dell'Accademia, la prospettiva, le misure (la ragazza in secondo piano è troppo grande per essere sullo sfondo e la barca che ha accanto è così piccola!..). Colori chiari e scuri, freddi e caldi, sono accostati senza pudore, con la volontà  di ricercare il contrasto.

E' esplicita la rottura con le correnti artistiche accreditate, quelle, potremmo dire, main stream. Questi artisti escono dagli ateliers e vanno a montare i cavalletti nei parchi, per le strade. Mi viene in mente il neorealismo: i neorealisti sono gli impressionisti del cinema, se vogliamo.
Ovviamente nel Salon, l'esposizione ufficiale dei migliori lavori dell'Accademia di Belle Arti, non poteva trovare posto chi ne contravveniva apertamente gli insegnamenti.  Napoleone III inaugura così il Salon des Refusésper ospitare le opere scartate. Da quel salone comincerà il travaglio che porterà alla luce l'Impressionismo, una rivoluzione nella  tecnica della pittura, un'esperienza che durerà poco meno di vent'anni, ma che lascerà il segno, per sempre. L’impressionismo dà vero e proprio inizio alla storia dell’arte contemporanea...




lunedì 8 ottobre 2012

Non c'è medicina più forte





Non c'è medicina più forte
o più efficace o più eccellente
per le nostre ferite
in tutte le cose terrene
che avere chi soffra con noi
in ogni sventura
e goda nei successi.

L'amicizia rende dunque
la prosperità più splendida
e l'avversità più leggera
dividendola un pò ciascuno.

In ogni azione, in ogni ricerca
nella certezza, nel dubbio
in ogni evenienza
in ogni disavventura
in segreto e in pubblico
in ogni decisione
in casa e fuori
dovunque l'amicizia è gradita
l'amico è necessario
il suo favore è utile.


da "L'amicizia spirituale" di Aelredo di Rievaulx

venerdì 5 ottobre 2012

Non è questione di scegliere il proprio formaggio ma d'essere scelti




Il signor Palomar fa la coda in un negozio di formaggi, a Parigi.
 Vuole comprare certi formaggini di capra che si conservano sott'olio in piccoli recipienti trasparenti, conditi con varie spezie ed erbe. La fila dei clienti procede lungo un banco dove sono esposti esemplari delle specialità più insolite e disparate. E' un negozio il cui assortimento sembra voler documentare ogni forma di latticino pensabile; già l'insegna "Spécialités froumagères" con quel raro aggettivo arcaico o vernacolo avverte che qui si custodisce l'eredità d'un sapere accumulato da una civiltà attraverso tutta la sua storia e geografia.
Tre o quattro ragazze in grembiule rosa accudiscono i clienti. Appena una è libera, prende a carico il primo della fila e l'invita a dichiarare i suoi desideri; il cliente nomina e più spesso indica, spostandosi per il negozio verso l'oggetto dei suoi appetiti precisi e competenti.
In quel momento tutta la fila si sposta avanti d'un passo; e chi finora aveva sostato accanto al "Bleu d'Auvergne" venato di verde viene a trovarsi all'altezza del "Brin d'amour" il cui biancore trattiene fili di paglia secca appiccicati; chi contemplava una palla avvolta in foglie può concentrarsi su un cubo cosparso di cenere. C'è chi dagli incontri di queste fortuite tappe trae ispirazione per nuovi stimoli e nuovi desideri: cambia idea su quel che stava per chiedere o aggiunge una nuova voce alla sua lista; e c'è chi non si lascia distrarre nemmeno per un istante dall'obiettivo che sta perseguendo e ogni suggestione diversa in cui s'imbatte serve solo a delimitare, per via d'esclusione, il campo di ciò che lui testardamente vuole.
L'animo di Palomar oscilla tra spinte contrastanti: 
quella che tende a una conoscenza completa, esaustiva, e potrebbe essere soddisfatta solo assaporando tutte le qualità; o quella che tende a una scelta assoluta, all'identificazione del formaggio che solo è suo, un formaggio che certamente esiste anche se lui ancora non sa riconoscerlo (non sa riconoscersi in esso).
Oppure, oppure: non è questione di scegliere il proprio formaggio ma d'essere scelti. 
C'è un rapporto reciproco tra formaggio e cliente: ogni formaggio aspetta il suo cliente, si atteggia in modo d'attrarlo, con una sostenutezza o granulosità un po' altezzosa, o al contrario sciogliendosi in un arrendevole abbandono.
Un'ombra di complicità viziosa aleggia intorno: la raffinatezza gustativa e soprattutto olfattiva conosce i suoi momenti di rilassatezza, d'incanaglimento, in cui i formaggi sui loro vassoi sembrano offrirsi come sui divani d'un bordello. Un sogghigno perverso affiora nel compiacimento d'avvilire l'oggetto della propria ghiottoneria con nomignoli infamanti: crottin, boule de moine, bouton de culotte.
Non è questo il tipo di conoscenza che il signor Palomar è più portato ad approfondire: a lui basterebbe stabilire la semplicità d'un rapporto fisico diretto tra uomo e formaggio. Ma se lui al posto dei formaggi vede nomi di formaggi, concetti di formaggi, significati di formaggi, storie di formaggi, contesti di formaggi, psicologie di formaggi, se - più che sapere - presente che dietro a ogni formaggio ci sia tutto questo, ecco che il suo rapporto diventa molto complicato.
La formaggeria si presenta a Palomar come un'enciclopedia a un autodidatta; potrebbe memorizzare tutti i nomi, tentare una classificazione a seconda delle forme - a saponetta, a cilindro, a cupola, a palla -, a seconda della consistenza - secco, burroso, cremoso, venoso, compatto -, a seconda dei materiali estranei coinvolti nella crosta o nella pasta - uva passa, pepe, noci, sesamo, erbe, muffe -, ma questo non l'avvicinerebbe d'un passo alla vera conoscenza, che sta nell'esperienza dei sapori, fatta di memoria e d'immaginazione insieme, e in base ad essa soltanto potrebbe stabilire una scala di gusti e preferenze e curiosità ed esclusioni.
Dietro ogni formaggio c'è un pascolo d'un diverso verde sotto un diverso cielo: prati incrostati di sale che le maree di Normandia depositano ogni sera; prati profumati d'aromi al sole ventoso di Provenza; ci sono diversi armenti con le loro stabulazioni e transumanze; ci sono segreti di lavorazione tramandati nei secoli. Questo negozio è un museo: il signor Palomar visitandolo sente, come al Louvre, dietro ogni oggetto esposto la presenza della civiltà che gli ha dato forma e che da esso prende forma.
Questo negozio è un dizionario; la lingua è il sistema dei formaggi nel suo insieme: una lingua la cui morfologia registra declinazioni e coniugazioni in innumerevoli varianti, e il cui lessico presenta una ricchezza inesauribile di sinonimi, usi idiomatici, connotazioni e sfumature di significato, come tutte le lingue nutrite dall'apporto di cento dialetti. E' una lingua fatta di cose; la nomenclatura ne è solo un aspetto esteriore, strumentale; ma per il signor Palomar impararsi un po' di nomenclatura resta sempre la prima misura da prendere se vuole fermare un momento le cose che scorrono davanti ai suoi occhi.
Estrae di tasca un taccuino, una penna, comincia a scriversi dei nomi, a segnare accanto a ogni nome qualche qualifica che permetta di richiamare l'immagine alla memoria; prova anche a disegnare uno schizzo sintetico della forma. Scrive pavé d'Airvault, annota "muffe verdi", disegna un parallelepipedo piatto e su un lato annota "4 cm circa"; scrive St-Maure, annota "cilindro grigio granuloso con un bastoncino dentro" e lo disegna, misurandolo a occhio "20 cm"; poi scrive Chabicholi e disegna un piccolo cilindro.
- Monsieur! Houhou! Monsieur! - Una giovane formaggiaia vestita di rosa è davanti a lui, assorto nel suo taccuino. E' il suo turno, tocca a lui, nella fila dietro di lui tutti stanno osservando il suo incongruo comportamento e scuotono il capo con l'aria tra ironica e spazientita con cui gli abitanti delle grandi città considerano il numero sempre crescente dei deboli di mente in giro per le strade.
L'ordinazione elaborata e ghiotta che aveva intenzione di fare gli sfugge dalla memoria; balbetta; ripiega sul più ovvio, sul più banale, sul più pubblicizzato, come se gli automatismi della civiltà di massa non aspettassero che quel suo momento d'incertezza per riafferrarlo in loro bal¡a.



Palomar, Italo Calvino

martedì 2 ottobre 2012

Angeli con la cazzimma




Secondo il calendario della Chiesa cattolica il 2 ottobre ricorre la celebrazione degli angeli custodi e, dal 31 luglio 2005, è stata fissata nella stessa data anche la Festa dei nonni. Me ne ero completamente dimenticata. La cosa curiosa è che due giorni fa, sentendo mio nonno al telefono, mi sono resa conto, per l'ennesima volta, quanto lui sia importante per me. Ne riflettevo con mia madre la sera stessa, su Skype. Quella sua telefonata mi aveva cambiato la giornata. Incredibile. Mia mamma rideva con gli occhi, lo sa che ho un debole per lui. E' riuscito a darmi in 30 secondi di chiamata un'energia insostituibile, una 'cazzimma' (scusate il termine, ma rende come pochi..) di cui generalmente scarseggio, una voglia di andare avanti, di fare, nonostante tutto, a prescindere da tutto. Chi ha affrontato una guerra, la ricostruzione, una famiglia di sei persone da portare avanti, non si scompone davanti a cosucce. Quando parlo con lui, mi sento sempre la nipotina con i calzettoni al ginocchio che gli da la mano per attraversare: mi sento al sicuro. Le mie difficoltà scompaiono, si fanno piccole piccole, quando mi dice ridendo: "Ma è fesserij! Tutto si fa!".
Quando penso a lui, alla sua vita che ha sempre amato raccontarmi, mi viene voglia di imitarlo, di essere un po' più pagliaccia, un po' più strafottente, un po' più dura e un po' più spensierata.
Quando penso a nonna Angela, mi viene da piangere mentre sorrido: spero che da qualche parte del suo cuore sia rimasto il mio ricordo, anche se quando la vado a trovare mi chiede come mi chiamo.
Non c'è cosa più dolorosa per me quando mi guarda negli occhi sorridendo: è come se fosse morta pur essendo viva.
E poi ci sono loro: due angeli custodi che già mi vegliano da lassù, nonna Maria e nonno Vincenzo.
Due punti di riferimento, due stelle polari. Fieri, gentili, dolci, intelligenti. Una coppia salda come la roccia, un'utopia di questi tempi.
Se non credete negli angeli custodi, non conoscete bene i vostri nonni:
sono presenze discrete, non chiedono molto;
 abituati a dare sempre più di quel che ricevono;
non amano telefonare, preferiscono vedervi;
non giudicano mai, preferiscono comprendere...




Auguri belli miei :*