BEATI quelli che sanno ridere di se stessi:
non finiranno mai di divertirsi.
BEATI quelli che sanno distinguere un ciottolo da una montagna:
eviteranno tanti fastidi.
BEATI quelli che sanno ascoltare e tacere:
impareranno molte cose nuove.
BEATI quelli che sono attenti alle richieste degli altri:
saranno dispensatori di gioia.
BEATI sarete voi se saprete guardare con attenzione le cose piccole e serenamente quelle importanti:
andrete lontano nella vita.
BEATI voi se saprete apprezzare un sorriso e dimenticare uno sgarbo:
il vostro cammino sarà sempre pieno di sole.
BEATI voi se saprete interpretare con benevolenza gli atteggiamenti degli altri anche contro le apparenze:
sarete giudicati ingenui, ma questo è il prezzo dell'amore.
BEATI quelli che pensano prima di agire e che pregano prima di pensare:
eviteranno tante stupidaggini.
BEATI soprattutto voi che sapete riconoscere il Signore in tutti coloro che incontrate:
avete trovato la vera luce e la vera pace.
martedì 29 novembre 2011
martedì 22 novembre 2011
Cinestudio: il mio articolo! :D
CINESTUDIO
Rivista di cinema fondata nel 1962
"Sacco e Vanzetti" e "L'Agnese va a morire"
di Giulia Naddeo
"Sacco e Vanzetti" e "L'Agnese va a morire"
di Giulia Naddeo
Nello strutturare il mio lavoro di ricerca avevo pensato di chiuderlo con un capitolo sul suo cinema e su quei film che hanno avuto poi delle importanti conseguenze sulla storia. Vorrei parlare di questi film, come ad esempio del Sacco e Vanzettí.
M: La storia di questi due italiani mi incuriosì vedendo uno spettacolo teatrale, in verità la pièce, molto intrigante, raccontava più l'evento all'interno della famiglia, lo shock, che vidi a Genova, in un teatro della zona dei cantieri navali, quindi in mezzo agli operai, ed ero abbastanza sconvolto dal fatto che non sapevo niente, o meglio, sapevo poco di loro. Niente no, ma pochissimo. Allora mi venne voglia di saperne di piu. In casa non avevo libri che approfondissero la loro storia, allora mi rivolsi a uno studioso straordinario, che è Fabrizio Onofri, e ci siamo appassionati. Poi naturalmente ho inciampato in produttori che erano peggio di me, perché andai da diversi produttori dicendo "vorrei fare un film su Sacco e Vanzetti". E non sapevano nulla? Infatti, mi dicevano "cos'è una ditta di import-export?" Agghiacciante ! Poi ho incappato in una persona davvero eccezionale. Accade che andai a parlare con un produttore. Arrigo Colombo, e gli dico 'vorrei fare un film su Sacco e Vanzetti e lo vidi stupito. Mi disse: "come sai sono ebreo e nel '38 sono scappato in America dove ho
imparato l'inglese sulle lettere di Sacco", allora abbiamo cominciato a ragionare sia su dove fare un film in America, sia dal punto di vista economico. Un'America inesistente. Allora abbiamo cambiato molti set proprio
per una questione di risparmio e per una questione di verità. Le scene le abbiamo girate a Dublino, perché chi ha costruito Boston sono stati gli irlandesi, quindi potevamo girare lì. Le strade erano uguali; abbiamo fatto
delle fotografie; abbiamo girato anche qualcosa in America, ma nessuno, dopo l'uscita del film, s'è accorto che non avevamo girato in ,America. Il tribunale poi l'abbiamo ricostruito a Roma in teatro. Ciò ha significato
un grande risparmio, anche se nei confronti del destino commerciale del film c'era molta diffidenza.
G:Si era scettici sull'esito di questa storia?
M: Si. perche forse all'epoca - mi ricordo che era in un piccolo cinema, si chiamava Ariston, adesso è un grande teatro - l'avevano messo lì con la speranza di fare almeno tre settimane. ma allo spettacolo dell'una di notte ci fu 1'assalto dei giovani. Fu quindi un gran successo e anche le musiche del film hanno fatto il giro del mondo. Bellissime. Ecco quello che accadde con la Baez fu curioso. Mi ricordo che parlando con Ennio[Morricone]. prima dell'inizio del film, gli dissi "ci vorrebbe una ballata, ma chi la canta?" e lui rispose "Ci vorrebbe la Baez". Mi venne in mente che in quel periodo Furio Colombo era in America come giornalista de "La Stampa". la conosceva e allora andai in America. Là continuai le ricerche per vedere il materiale di repertorio e scoprire che in tutto il mondo c'erano state delle manifestazioni enormi per i due italiani fuorché in
Italia. perché c'era il fascismo. […] Portai la sceneggiatura al mio amico [Furio] Colombo e lui mi disse che avrebbe incontrato la Baez la sera. Miracolo: l’indomani mattina nella mia stanza d'albergo suono il telefono: era la Baez! Mi disse che aveva letto la sceneggiatura e che ci sarebbe stata. Chiamai subito Ennio [Morricone] e- senza conoscersi, senza incontrarsi, lei scrisse 1e parole e lui, studiando i dischi dei suoi successi musicali, la musica. Quando si incontrarono lei mi disse “E’ un
genio" e lui "ammazza che brava!"
imparato l'inglese sulle lettere di Sacco", allora abbiamo cominciato a ragionare sia su dove fare un film in America, sia dal punto di vista economico. Un'America inesistente. Allora abbiamo cambiato molti set proprio
per una questione di risparmio e per una questione di verità. Le scene le abbiamo girate a Dublino, perché chi ha costruito Boston sono stati gli irlandesi, quindi potevamo girare lì. Le strade erano uguali; abbiamo fatto
delle fotografie; abbiamo girato anche qualcosa in America, ma nessuno, dopo l'uscita del film, s'è accorto che non avevamo girato in ,America. Il tribunale poi l'abbiamo ricostruito a Roma in teatro. Ciò ha significato
un grande risparmio, anche se nei confronti del destino commerciale del film c'era molta diffidenza.
G:Si era scettici sull'esito di questa storia?
M: Si. perche forse all'epoca - mi ricordo che era in un piccolo cinema, si chiamava Ariston, adesso è un grande teatro - l'avevano messo lì con la speranza di fare almeno tre settimane. ma allo spettacolo dell'una di notte ci fu 1'assalto dei giovani. Fu quindi un gran successo e anche le musiche del film hanno fatto il giro del mondo. Bellissime. Ecco quello che accadde con la Baez fu curioso. Mi ricordo che parlando con Ennio[Morricone]. prima dell'inizio del film, gli dissi "ci vorrebbe una ballata, ma chi la canta?" e lui rispose "Ci vorrebbe la Baez". Mi venne in mente che in quel periodo Furio Colombo era in America come giornalista de "La Stampa". la conosceva e allora andai in America. Là continuai le ricerche per vedere il materiale di repertorio e scoprire che in tutto il mondo c'erano state delle manifestazioni enormi per i due italiani fuorché in
Italia. perché c'era il fascismo. […] Portai la sceneggiatura al mio amico [Furio] Colombo e lui mi disse che avrebbe incontrato la Baez la sera. Miracolo: l’indomani mattina nella mia stanza d'albergo suono il telefono: era la Baez! Mi disse che aveva letto la sceneggiatura e che ci sarebbe stata. Chiamai subito Ennio [Morricone] e- senza conoscersi, senza incontrarsi, lei scrisse 1e parole e lui, studiando i dischi dei suoi successi musicali, la musica. Quando si incontrarono lei mi disse “E’ un
genio" e lui "ammazza che brava!"
G: E poi la grande interpretazione di Cucciolla e Volontè... indimenticabile!
Una cosa che mi ha molto commosso nella storia, e durante le riprese, è che tra i due italiani il più preoccupato, il più fremente dei due, era Sacco, perché Sacco aveva una famiglia, aveva un figlio, la moglie, ed è evidente, lo si trova, 1o si legge, 1o si capisce che lo scapolone Vanzetti ha cominciato a proteggerlo.
Durante la lavorazione Volonté gli portava il caffè, "hai bisogno di qualcosa?", gli portava il cappotto, anche al di fuori della scena! Quindi, voglio dire. queste sono cose che ti toccano il cuore.
G: E poi cose accadde con l'uscita del film?
M: Quando uscì il film a Boston, venne stroncato subito dalla critica di uno che aveva scritto un libro colpevolista e che li considerava due criminali e disse che il film l’aveva fatto un italiano, sicuramente un anarchico, per fortuna però non andò così, la gente, ancora una volta i giovani, si impossessarono del film. I giovani studenti di giurisprudenza dell'università di Boston cominciarono a studiare il caso, c'erano valanghe di documenti. Le hanno studiate e per quattro anni si sono dati anche il cambio. Poi, sono andati dal governatore Dukakis.
G: Questo è favoloso, cioè l'effetto del cinema! Vedere un film che colpisce così tanto che spinge a fare delle cose.
M: Si è arrivati alla riabilitazione, almeno nel Massachusetts, il posto del crimine, e fui invitato alla cerimonia. C'era un giovane che mi venne incontro, era il nipote di Sacco, commosso: Giustizia era stata fatta. E poi anche per I'Agnese va a morire so che ci furono delle conseguenze, i giovani di Teheran si videro un po' al posto di questa contadina. Successe una cosa terribile a Teheran: il film venne invitato al festival di Teheran, era l'ultimo anno dello Scià e accadde che alla
fine della proiezione del film si scoprì che i giovani spettatori s'erano visti in quella donna analfabeta che d'istinto si batte contro il potere corrotto.
fine della proiezione del film si scoprì che i giovani spettatori s'erano visti in quella donna analfabeta che d'istinto si batte contro il potere corrotto.
G:Si riconoscevano?
M: Sì, e quindi naturalmente il giorno dopo
fummo cacciati dal paese io e Vera [Pescarolo, moglie di Montaldo e aiuto-regista del film], il giorno dopo!
fummo cacciati dal paese io e Vera [Pescarolo, moglie di Montaldo e aiuto-regista del film], il giorno dopo!
G: Colpevoli di questa reazione?
M: Ma va bene, non aspettavamo medaglie, non sono disperato e anche, ricordo che il film arrivava un po' tardi rispetto all’ impeto della scoperta dei valori della resistenza, nell' immediato dopo guerra. Io ho fatto negli
anni '50 il partigiano nel film Achtung! Bandíti! e quando usciva a Genova, soprattutto al nord. si faceva ogni anno una prima, anche perché era il loro film medaglia, però era passato molto tempo.. in Emilia Romagna
andava bene, un po' meno al sud. Lì ci sarebbe un discorso politico da fare, perché non è mai stato valorizzato I'apporto di quei ragazzi, i famosi sbandati che quando son tornati poi non li credeva più nessuno su quello che era successo su al Nord. Invece ve lo garantisco fu una brutta e spietata e terrificante guerra, sanguinosissima. A Bologna, la città della scrittrice [Renata Viganò, autrice del romanzo, da cui era stato tratto il film], stranamente andava un po' meno bene, allora mi sono fatto stampare dei manifestini con scritto: "Sono il regista del film. Questo film è tratto da un libro di una vostra concittadina. C'è voluta tanta fatica per farlo,
freddo, pochi soldi, notti, gelo, perché non lo andate a vedere?". E mi sono messo davanti al cinema a dare i manifesti. E' arrivato il fotografo, era quello che aspettavo, e il giorno dopo c'era I'articolo su <I1 Resto del Carlino>.
M: Ma va bene, non aspettavamo medaglie, non sono disperato e anche, ricordo che il film arrivava un po' tardi rispetto all’ impeto della scoperta dei valori della resistenza, nell' immediato dopo guerra. Io ho fatto negli
anni '50 il partigiano nel film Achtung! Bandíti! e quando usciva a Genova, soprattutto al nord. si faceva ogni anno una prima, anche perché era il loro film medaglia, però era passato molto tempo.. in Emilia Romagna
andava bene, un po' meno al sud. Lì ci sarebbe un discorso politico da fare, perché non è mai stato valorizzato I'apporto di quei ragazzi, i famosi sbandati che quando son tornati poi non li credeva più nessuno su quello che era successo su al Nord. Invece ve lo garantisco fu una brutta e spietata e terrificante guerra, sanguinosissima. A Bologna, la città della scrittrice [Renata Viganò, autrice del romanzo, da cui era stato tratto il film], stranamente andava un po' meno bene, allora mi sono fatto stampare dei manifestini con scritto: "Sono il regista del film. Questo film è tratto da un libro di una vostra concittadina. C'è voluta tanta fatica per farlo,
freddo, pochi soldi, notti, gelo, perché non lo andate a vedere?". E mi sono messo davanti al cinema a dare i manifesti. E' arrivato il fotografo, era quello che aspettavo, e il giorno dopo c'era I'articolo su <I1 Resto del Carlino>.
G: Questo per dire che il regista non si deve fermare sul piedistallo? Ci vuole furbizia.
M: Sì, il giorno dopo il film in sala, da duecentomila lire dell'epoca, arrivò a un milione e due, perché poi venne toccato il cuore della gente.
G: E' interessantissimo sentirla raccontare questi aneddoti, veramente molto belli e mi farebbe piacere sentire quello che successe dopo, quando il film uscì nelle sale, tra la gente.
M: Ma guarda, questi film continuano a vivere e mi ricordo che anche nella città di Salerno, I'Agnese venne fatta vedere a scuola e andai, ci fu un dibattito, pero i ragazzi non erano stati preparati bene. Secondo la mia opinione non si mettono insieme nello stesso cinema gli studenti tecnici coi classici perché comincia la lotta di classe nel vero senso del termine. E non credo per questo che in quel caso fu una proiezione fortunata perché il dibattito che seguì fu abbastanza smorto perché avevano impiegato più tempo a provocarsi che a seguire normalmente la proiezione. Diverso è quando anche i professori parlano del film, che narra di un periodo storico particolare. G: Certo. dovevano essere introdotti all’argomento..
M: Infatti è importante quando seguono dei dibattiti che ti stimolano perché approfondiscono. Per esempio qualcuno diceva come mai è analfabeta l'Agnese? Perché hanno portato via il marito? Quindi raccontare, spiegare anche quel clima, perché è stato denunciato… ecc.. ti rendi conto che va bene.. quando si crea un dibattito e la gente sta fuori dalla sala e non va via, è ciò che io intendo quando si passa la serata al cinema. Quando la gente continua a parlare del film!. Quando 1a gente fa capannello, magari ridendo o litigando, vuol dire che il film ha vinto! Come fai a raccontare la vita del mio amico Giordano in un'ora e quaranta? Io ti apro una finestra. E'solo uno spiraglio.
G: Come si fa a far in
modo che il film "vinca", che continui a vivere tra le persone…che se ne parli?
modo che il film "vinca", che continui a vivere tra le persone…che se ne parli?
M: Si deve e appunto lasciare questo spiraglio, devi dare l’ impressione che non sia finito e infatti non credo che l'intolleranza sia finita….
venerdì 11 novembre 2011
Esperienza..
[...] L'esperienza è qualcosa di più che mettersi in rapporto con gli eventi
e acquisire delle competenze. E' quel gioco di interferenze tra mondo
esterno e mondo interno grazie cui diamo senso alla vita e al tempo stesso
definiamo noi stessi. L'esperienza ci consente insomma di capire le cose
rispetto a noi e noi rispetto alle cose; Lo suggerisce l'origine del termine:
l'esperienza è un viaggio all'interno del mondo, che offre occasioni di
crescita, ma che nasconde anche insidie; e che comporta un guadagno di senso
nella misura in cui s'è disposti a mettersi in gioco e a esporsi al rischio di
una perdita. [...]
tratto da L'illusione difficile, Federico Di Chio, Studi Bompiani
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mettersi in gioco,
mondo,
viaggio,
vita
lunedì 7 novembre 2011
Mondi virtuali
Gary Allan Fine, nel suo
celebre saggio “Shared fantasy: role
playing game as social words” (1982), descrive con attenzione il fervente
mondo dei giocatori di ruolo negli Stati Uniti. Egli decise di formulare le sue
teorie partecipando attivamente alle sessioni di gioco, sessioni che lo videro
anche ricoprire il ruolo di master in alcuni casi. Le sue ricerche sul campo
contengono numerosi estratti di partite registrate dallo studioso nonché
interviste ai giocatori, per capire meglio come i giocatori stessi vedano se
stessi e si rapportino con il proprio personaggio. Fine considera il gruppo di
giocatori come un vero e proprio gruppo sociale e quindi propriamente adatto ad
un’analisi più ampia circa la società post-moderna, in cui è possibile
riconoscere e analizzare tutti i processi che conducono alla creazione di
identità e significati in un mondo sociale. Le dinamiche di creazione di un
personaggio che dovrà agire all’interno di un gioco sono analoghe infatti a
quelle che, ad esempio, un individuo compie, per ragioni diverse, durante la
giornata. Infatti il personaggio che interpretiamo in alcune relazioni sociali
formali, non è altro che l’interpretare
di un personaggio in un gioco di ruolo; la stessa formalità sarà infatti
inesistente con un gruppo di nostri amici. I personaggi giocanti dei giochi di
ruolo altro non sono che possibili concretizzazioni
del sé di un giocatore. Huizinga (1959) afferma che giocare assieme, attraverso
la creazione di una comunità inerente al gioco, promuove l’instaurarsi di un
gruppo sociale che perdura anche all’esterno del gioco. Non capita raramente di
sentire giocatori di gdr incontrarsi in meeting ogni tot di tempo, per
conoscere dal vivo, nel caso specifico dei MMORPG, il personaggio della propria
gilda e spesso si crea anche un rapporto stretto di amicizia. I membri del
gruppo riconoscono di condividere esperienze, ma quale schema di rapporti si
può ricavare dall’analisi delle relazioni che un giocatore intrattiene con il
proprio personaggio? Secondo Glaser e Strass sono quattro i vari possibili
stadi di consapevolezza in cui ci si può collocare: la piena consapevolezza ,
la mancata consapevolezza, la consapevolezza sospettosa e la finta
consapevolezza. Nel gioco di ruolo il giocatore dovrebbe essere nella mancata
consapevolezza per poter scindere al meglio se stesso dal proprio personaggio,
ma questa consapevolezza viene poche volte raggiunta e si finisce per parlare
di una finta consapevolezza, poiché i giocatori sono consapevoli di rivestire
altre identità, ma non riescono a scindersi da esse. Nei giochi di ruolo ogni
azione si inserisce in un insieme di relazioni,
di cause e di conseguenze, che spesso hanno legame diretto con il reale. Anche la
relazione spazio-tempo nei gdr è molto più attinente con la realtà che nei
giochi da tavolo tradizionali, infatti si cerca di simulare un intero mondo di relazioni; è quindi la volontà
simulativa a spingere un gioco di ruolo a essere sempre più coerente possibile
e ne consegue che i risultati di un’azione simulata siano gli stessi della
medesima azione nel reale. Tanto che muovano da qualche branca
sociologica specifica, o siano inscrivibili nel contesto multidisciplinare dei
game studies, le ricerche sociali nell’ambito degli MMORPG possono essere in
qualche misura divise tra quelle che si focalizzano maggiormente sul giocatore
e sul mondo esterno al gioco, e quelle che invece si focalizzano sul
personaggio e sulle interazioni sociali interne al gioco – anche se,
naturalmente, entrambi i tipi di studio partono da una modellizzazione (spesso
sottintesa) del fenomeno nel suo complesso. Il primo tipo di ricerca, quella
maggiormente centrata sul giocatore, prende in considerazione argomenti come i
differenti approcci secondo genere, nazionalità, fascia di età dei giocatori, o
le possibili ricadute nel mondo “reale” di fenomeni connessi coi MMORPG: negativi,
come i fenomeni di dipendenza e cyber-criminalità, o positivi, come la
diffusione di nuove forme di consapevolezza politica e sociale o lo sviluppo di
strategie di apprendimento. Il secondo tipo di ricerca, maggiormente
focalizzata sulle dinamiche interne al “mondo virtuale”, ha ad oggetto
argomenti come la strutturazione dei gruppi sociali interni al gioco (come clan
o gilde), il gioco scorretto (cosiddetto grief play), le tecniche comunicative,
i fenomeni di cooperazione e fiducia, le possibilita’ di classificazione dei
giocatori in base alle motivazioni. Una parte più limitata delle pubblicazioni
scientifiche sull’argomento affronta specificatamente problematiche di natura
metodologica, o problematizza esplicitamente gli assunti teorici che ispirano la
modellizzazione alla base della ricerca. La maggior parte delle ricerche
analizzate ha combinato una pluralità di metodi di indagine; la necessità di
investigare l’oggetto di studio da più versanti emerge tra l’altro dalla
diffusa adozione di un modello del fenomeno a “strati” sovrapposti:
micro-livello del singolo giocatore, il meso-livello dei gruppi sociali di
giocatori (gilde, clan), e il macro-livello del gioco nel suo complesso. Emerge dunque il quadro di una scena in
fermento, in cui studiosi provenienti da diverse discipline utilizzano una
pluralità di approcci e di metodi. Sono ancora scarsi gli apporti di studiosi
italiani o gli studi sulla realtà dei giocatori italiani di MMORPG, ed una
migliore conoscenza del fenomeno con la produzione di ricerche sociologiche è
auspicabile dato che la partecipazione ai MMORPG riguarda sempre più persone –
prevalentemente giovani – anche in Italia. Mai prima d’ora l’uomo era
riuscito a rendere la figurazione così potente e dotata di fascinazione
autonoma da far temere che essa possa sostituirsi alla realtà e diventarne un
puro simulacro: attraverso il corpo l’uomo si moltiplica, si trasforma,
presenta se stesso, ma anche altri “io”. Anche quando ha a disposizione pochi
elementi l’uomo inventa altre identità, assume una parte. Il gioco di ruolo, a
mio parere, risponde a questo: non si tratta di altro che di una riproduzione
illusoria di una realtà separata alla quale tutti aderiscono per divertimento. Il gioco di ruolo è rappresentazione, e i giocatori di ruolo
rappresentano nel migliore dei modi questa sub-realtà, dalla quale a volte
vengono completamente risucchiati. Occorre allora tener ben presente quella che
è la dimensione ludica, il ludus, il
sentimento del ‘gioco’, ovvero ciò che rappresenta la garanzia di conservare il
controllo sulla moltiplicazione dell’Io, la consapevolezza della finzione e
della maschera, che una volta usciti dal gioco, dovrebbe riportarci tutti coi
piedi per terra, si spera, quella vera.
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