Gary Allan Fine, nel suo
celebre saggio “Shared fantasy: role
playing game as social words” (1982), descrive con attenzione il fervente
mondo dei giocatori di ruolo negli Stati Uniti. Egli decise di formulare le sue
teorie partecipando attivamente alle sessioni di gioco, sessioni che lo videro
anche ricoprire il ruolo di master in alcuni casi. Le sue ricerche sul campo
contengono numerosi estratti di partite registrate dallo studioso nonché
interviste ai giocatori, per capire meglio come i giocatori stessi vedano se
stessi e si rapportino con il proprio personaggio. Fine considera il gruppo di
giocatori come un vero e proprio gruppo sociale e quindi propriamente adatto ad
un’analisi più ampia circa la società post-moderna, in cui è possibile
riconoscere e analizzare tutti i processi che conducono alla creazione di
identità e significati in un mondo sociale. Le dinamiche di creazione di un
personaggio che dovrà agire all’interno di un gioco sono analoghe infatti a
quelle che, ad esempio, un individuo compie, per ragioni diverse, durante la
giornata. Infatti il personaggio che interpretiamo in alcune relazioni sociali
formali, non è altro che l’interpretare
di un personaggio in un gioco di ruolo; la stessa formalità sarà infatti
inesistente con un gruppo di nostri amici. I personaggi giocanti dei giochi di
ruolo altro non sono che possibili concretizzazioni
del sé di un giocatore. Huizinga (1959) afferma che giocare assieme, attraverso
la creazione di una comunità inerente al gioco, promuove l’instaurarsi di un
gruppo sociale che perdura anche all’esterno del gioco. Non capita raramente di
sentire giocatori di gdr incontrarsi in meeting ogni tot di tempo, per
conoscere dal vivo, nel caso specifico dei MMORPG, il personaggio della propria
gilda e spesso si crea anche un rapporto stretto di amicizia. I membri del
gruppo riconoscono di condividere esperienze, ma quale schema di rapporti si
può ricavare dall’analisi delle relazioni che un giocatore intrattiene con il
proprio personaggio? Secondo Glaser e Strass sono quattro i vari possibili
stadi di consapevolezza in cui ci si può collocare: la piena consapevolezza ,
la mancata consapevolezza, la consapevolezza sospettosa e la finta
consapevolezza. Nel gioco di ruolo il giocatore dovrebbe essere nella mancata
consapevolezza per poter scindere al meglio se stesso dal proprio personaggio,
ma questa consapevolezza viene poche volte raggiunta e si finisce per parlare
di una finta consapevolezza, poiché i giocatori sono consapevoli di rivestire
altre identità, ma non riescono a scindersi da esse. Nei giochi di ruolo ogni
azione si inserisce in un insieme di relazioni,
di cause e di conseguenze, che spesso hanno legame diretto con il reale. Anche la
relazione spazio-tempo nei gdr è molto più attinente con la realtà che nei
giochi da tavolo tradizionali, infatti si cerca di simulare un intero mondo di relazioni; è quindi la volontà
simulativa a spingere un gioco di ruolo a essere sempre più coerente possibile
e ne consegue che i risultati di un’azione simulata siano gli stessi della
medesima azione nel reale. Tanto che muovano da qualche branca
sociologica specifica, o siano inscrivibili nel contesto multidisciplinare dei
game studies, le ricerche sociali nell’ambito degli MMORPG possono essere in
qualche misura divise tra quelle che si focalizzano maggiormente sul giocatore
e sul mondo esterno al gioco, e quelle che invece si focalizzano sul
personaggio e sulle interazioni sociali interne al gioco – anche se,
naturalmente, entrambi i tipi di studio partono da una modellizzazione (spesso
sottintesa) del fenomeno nel suo complesso. Il primo tipo di ricerca, quella
maggiormente centrata sul giocatore, prende in considerazione argomenti come i
differenti approcci secondo genere, nazionalità, fascia di età dei giocatori, o
le possibili ricadute nel mondo “reale” di fenomeni connessi coi MMORPG: negativi,
come i fenomeni di dipendenza e cyber-criminalità, o positivi, come la
diffusione di nuove forme di consapevolezza politica e sociale o lo sviluppo di
strategie di apprendimento. Il secondo tipo di ricerca, maggiormente
focalizzata sulle dinamiche interne al “mondo virtuale”, ha ad oggetto
argomenti come la strutturazione dei gruppi sociali interni al gioco (come clan
o gilde), il gioco scorretto (cosiddetto grief play), le tecniche comunicative,
i fenomeni di cooperazione e fiducia, le possibilita’ di classificazione dei
giocatori in base alle motivazioni. Una parte più limitata delle pubblicazioni
scientifiche sull’argomento affronta specificatamente problematiche di natura
metodologica, o problematizza esplicitamente gli assunti teorici che ispirano la
modellizzazione alla base della ricerca. La maggior parte delle ricerche
analizzate ha combinato una pluralità di metodi di indagine; la necessità di
investigare l’oggetto di studio da più versanti emerge tra l’altro dalla
diffusa adozione di un modello del fenomeno a “strati” sovrapposti:
micro-livello del singolo giocatore, il meso-livello dei gruppi sociali di
giocatori (gilde, clan), e il macro-livello del gioco nel suo complesso. Emerge dunque il quadro di una scena in
fermento, in cui studiosi provenienti da diverse discipline utilizzano una
pluralità di approcci e di metodi. Sono ancora scarsi gli apporti di studiosi
italiani o gli studi sulla realtà dei giocatori italiani di MMORPG, ed una
migliore conoscenza del fenomeno con la produzione di ricerche sociologiche è
auspicabile dato che la partecipazione ai MMORPG riguarda sempre più persone –
prevalentemente giovani – anche in Italia. Mai prima d’ora l’uomo era
riuscito a rendere la figurazione così potente e dotata di fascinazione
autonoma da far temere che essa possa sostituirsi alla realtà e diventarne un
puro simulacro: attraverso il corpo l’uomo si moltiplica, si trasforma,
presenta se stesso, ma anche altri “io”. Anche quando ha a disposizione pochi
elementi l’uomo inventa altre identità, assume una parte. Il gioco di ruolo, a
mio parere, risponde a questo: non si tratta di altro che di una riproduzione
illusoria di una realtà separata alla quale tutti aderiscono per divertimento. Il gioco di ruolo è rappresentazione, e i giocatori di ruolo
rappresentano nel migliore dei modi questa sub-realtà, dalla quale a volte
vengono completamente risucchiati. Occorre allora tener ben presente quella che
è la dimensione ludica, il ludus, il
sentimento del ‘gioco’, ovvero ciò che rappresenta la garanzia di conservare il
controllo sulla moltiplicazione dell’Io, la consapevolezza della finzione e
della maschera, che una volta usciti dal gioco, dovrebbe riportarci tutti coi
piedi per terra, si spera, quella vera.
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