Quando ero
piccolo, spesso mi chiedevano: “Vai sotto a prendere una bottiglia di vino
buono”.
Ora, ci chiediamo: perché siamo qui sotto in questo angolo sconosciuto,
che era la piazza Duomo prima del Duomo?
La
città è grande, fatta di meraviglie e di porcherie, è benedetta e maledetta
insieme, nessuno la vuole così, ma poi tutti vi accorrono. E’ una città che non
dorme mai, nervosa, grigia, umida. Le giornate sono folte, si gira come se
fossimo trottole randagie, il traffico ruggisce ventiquattro ore su
ventiquattro come una processione isterica. Al mattino …devi aprire le finestre
per far prendere aria alla città. Città che è un alveare di cemento, una giungla
d’asfalto.. le sirene – come dei coltelli – sottolineano che in questa città non
c’è il canto, il silenzio, ma solo il rumore che produce ulcera nel cervello. Ti
urti a volte con questa città e con la sua velocità che disumanizza (ti sembra
di essere come un’ape in un barattolo).
E allora perché qui? E’ bello il Duomo, a me
particolarmente caro perché il 12 giugno
1982 venni ordinato prete e pregavo già per le persone che avrei incontrato nel
ministero e voi non eravate ancora nate…, ma bello soprattutto come ricamo di
marmo, ove le guglie paiono spade di luce attorno alla Madonnina, Lei: la Donna
più riuscita! “O mia bela Madunina”! Insisto: perché non gustiamo tutto il
Duomo ma ci fermiamo solo in questo angolo strano, dove si vede poco? Per una
lezione di archeologia? No, non sono capace, anche se nella nostra Università vi
sono molte persone adatte a svolgere eventualmente questo compito. Ma non è la
ragione principale.
Perché siamo qui? Siamo scesi, ma non come in metropolitana: là
si va per correre, qui invece ci fermiamo, noi che non abbiamo più neanche il
tempo …di dire che non abbiamo tempo. Siamo convenuti per far cantare le pietre
e chi le ha vissute allora! Qui abbiamo pietre che ci parlano di secoli
(intuiamo meglio l’espressione liturgica “Per tutti i secoli dei secoli”). Qui
il tempo pare fermarsi e dirci che il mondo non è iniziato con noi, non siamo i
primi e torniamo allora indietro, molto indietro, oltre i vostri nonni. Questa è la
tradizione (”tradere” = tramandare, come
una luce che in continuazione ne accende un’altra); le antichissime generazioni
hanno spento la fiaccola nella notte della vita e sono nella luce eterna
rispetto a noi in questa vigilia di fatica e di amore che è l’umana esistenza.
Siam qui dunque a far cantare le pietre per
essere noi pietre vive, appoggiate su una pietra intoccabile, scartata, ma …se
la togli crolla tutto: Gesù Cristo! Pietre vive, ognuna imbevuta nel sangue di
Cristo, prezzo della nostra libertà, per l’architettura di un mondo migliore.
Riflessione di Don Giorgio Begni, durante la visita all' antico battistero del Duomo di Milano (dove la notte di Natale del 387 Sant'Ambrogio battezzò Sant'Agostino).
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